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lunedì 24 giugno 2019

Nicolas Cage Day - Mom and Dad: Istinto omicida (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/01/2019 Qui - Purtroppo questo thriller horror/dark comedy di Brian Taylor (di cui avevo apprezzato i due Crank) non riesce a lasciare il segno fino in fondo, intendiamoci non è un film brutto o inguardabile ma si nota l'indecisione del regista (o forse dovrei dire della sceneggiatura?) che non sa quale direzione imboccare se quella dell'horror o quella della commedia. Ne viene fuori un pastrocchio, tutto sommato anche abbastanza divertente ma che non riesce a graffiare efficacemente né a sfruttare correttamente una buona idea di fondo. Non aiutano a rendere più interessante la pellicola, alcuni aspetti della sceneggiatura poco approfonditi, eppure Mom and Dad: Istinto omicida, il nuovo film del regista, sceneggiatore e produttore, anche di Ghost Rider: Spirito di Vendetta, film presentato al Toronto Film Festival a settembre del 2017, un film con una certa originalità, cosa sempre più rara al giorno d'oggi, riesce a intrattenere a dovere. Il film infatti, un onesto thriller con Nicolas Cage (incredibilmente uno dei motivi per cui vedere il film, anche Selma Blair convince senza mezzi termini), non è affatto male e, avendo una trama abbastanza particolare, invoglia lo spettatore a guardarlo. E' ovviamente una pellicola parecchio sopra le righe, però, il regista riesce, con mestiere, a renderla verosimile. Sì perché nonostante lo svolgimento e il racconto, comunque apprezzabile, indubbiamente sconclusionato, l'eclettico regista americano, che infarcisce la pellicola di temi "moderni" (quali la voglia degli adulti di tornare giovani, i genitori si scagliano contro i propri figli, colpevoli di aver portato loro via, la giovinezza, colpevoli di un'esuberanza tecnologica che ha ucciso ogni forma di dialogo), usa un semplice escamotage, qualcosa di naturale che c'è in ognuno di noi, per parlare alle vecchie e nuove generazioni, per sovvertire le regole della natura umana e rendere il tutto più credibile.

giovedì 20 giugno 2019

El abrazo de la serpiente (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/12/2018 Qui - Il cinema ci ha spesso mostrato l'Amazzonia e i suoi abitanti nei loro lato più estremi e brutali, per esempio nel caso dei cannibal movie come Cannibal Holocaust o del più recente The Green Inferno. Il regista Ciro Guerra compie invece un'operazione diversa, perché girando in un ammaliante bianco e nero, egli si prefigge l'obbiettivo di raccontarci una parte di mondo ancora in larga parte inesplorata come l'Amazzonia, mostrandocela però dal punto di vista degli indigeni e concentrandosi sui riti, le credenze e le leggende delle persone che abitano questi posti magnifici e incontaminati, il risultato è un'esperienza visiva e interiore di raro fascino, che non può lasciare indifferenti. El abrazo de la serpiente infatti, film del 2015 diretto dal regista colombiano, film candidato all'Oscar 2016 come miglior film straniero e vincitore del premio Art Cinéma della sezione Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2015, è un grande omaggio all'Amazzonia, ai suoi misteri, alle sue popolazioni sterminate in nome della "civilizzazione". Un omaggio rispettoso e approfondito a un luogo, a un popolo e alla loro storia, spesso fatta di sangue, soprusi e sopraffazione. Un film perciò dai ritmi lenti e compassati, sempre in bilico fra realtà e sogno e su più piani temporali, quindi potenzialmente indigesto a molti, ma un film tuttavia tanto interessante e appassionante, molto più del mediocre Civiltà perduta, che può piacere, o è piaciuto, a tanti altri. Il film infatti, che racconta la storia dello sciamano Karamakate (Nilbio Torres e Antonio Bolivar), ultimo discendente della sua tribù, che incontra i due scienziati ed esploratori Theodor Koch-Grunberg e Richard Evans Schultes (sui diari dei quali è basato il film) a distanza di circa 40 anni l'uno dall'altro, instaurando con loro un rapporto profondo e controverso, se all'inizio sembrerebbe il classico viaggio di lavoro dagli scopi prettamente scientifici (i due scienziati difatti, che si recano in Amazzonia in periodi diversi, sono accomunati dallo stesso obbiettivo, ovvero quello di cercare la yakruna, una pianta sacra e dai potentissimi poteri) diventa ben presto l'esplorazione (la brillante esplorazione) di una cultura pressoché sconosciuta e la ricongiunzione (degli scienziati) con la loro essenza più primordiale (dopotutto non è un caso che Karamakate sia lo sciamano che fa da elemento di unione tra le due spedizioni diventando per questo una guida, anche spirituale, in una porzione di mondo incontaminata). E non è tutto, perché inoltre il suddetto propone come tema principale una riflessione su le due culture contrapposte. Quella colonialista e vincente dei bianchi, che si porta dietro un approccio razionale e scientifico ma anche lo sfruttamento e la distruzione della natura a fini meramente economici (deforestazione, industria ed estrazioni minerarie, raccolta del lattice per il caucciù), e quella indios più sensitiva e magica, ma rispettosa dell'ecosistema ambientale.