Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2017 Qui - Ispirato ad uno e più fatti di cronaca nera purtroppo simili (incluso il "Caso Fritzl" in Austria), Room, film del 2015 diretto da Lenny Abrahamson, è un bellissimo film drammatico, toccante, dolce, non esageratamente commovente ma che colpisce forte, non tanto a livello visivo quanto nella costruzione della sofferenza che una prigionia simile può infliggere a due innocenti. Poiché discretamente dosato, il film riesce ad essere un dramma quasi perfettamente orchestrato, sincero e intenso, quasi mai retorico e buonista. Anche perché il film, che a volte lascia interdetti per la cattiveria di certi squallidi personaggi, fa sorgere in noi domande a cui non è facile dare una risposta, cosa vuol dire essere privati della propria libertà, del proprio futuro per sette anni? Cosa vuol dire nascere e crescere per cinque anni vivendo in un angusto spazio e non conoscendo niente del mondo? Può l'amore di una madre per il proprio figlio, e viceversa, salvarli entrambi? È possibile poi tornare alla vita reale? Room, infatti, ci fa conoscere la storia di Joy, inizialmente conosciuta solo come Ma, e di Jack, mamma e figlio, costretti a vivere (lei da sette anni, ossia dall'età di diciassette anni, lui da 5, ovvero dalla nascita) in una stanza di circa 10mq da cui non possono uscire e imprigionati da una porta con un codice che solo il "vecchio Nick" (il Sean Bridgers de I magnifici 7, L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo e Dark Places: Nei luoghi oscuri) conosce. Lui è l'uomo che li ha rinchiusi lì e che la sera va a fare visita a Ma, costringendo il piccolo a nascondersi dentro l'armadio. La donna ha cercato in tutti i modi di proteggere Jack dalla verità, inventandosi un mondo fantastico e nascondendogli l'esistenza dell'universo al di fuori di quella stanza dove ci sono solamente poche cose (anche se in cuor suo la donna non ha abbandonato la speranza di riuscire un giorno a liberare se stessa e il suo piccolo). Lavandino, letto, armadio, sedie sono quindi gli amici di Jack, almeno finché uno stratagemma ben architettato equivale ad una seconda nascita. Ed è proprio la scena in cui Jack libera se stesso e la madre dalla prigionia (grazie anche all'aiuto di una diligente poliziotta interpretata dalla bella Amanda Brugel di The Calling e KAW), quella di maggiore impatto emotivo della pellicola che comunque tiene un buon ritmo per tutta la sua durata ed è splendidamente interpretata dai due protagonisti, come dimostra anche il Premio Oscar 2016 come migliore attrice protagonista alla bella e brava Brie Larson. Ma saranno davvero in grado di vivere anche fuori da quella maledetta stanza?
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lunedì 8 aprile 2019
Room (2015)
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martedì 5 febbraio 2019
A Good Marriage (2014)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/11/2016 Qui - Nonostante le reticenze di una certa esperta di film di questo genere ho visto A Good Marriage, film del 2014 diretto da Peter Askin e basato sul racconto Un bel matrimonio di Stephen King, che a sua volta sembra aver preso ispirazione da un'atroce fatto di cronaca avvenuta nel Kansas fra il 1974 e il 1991, quella di un serial killer (Dennis Rader, detto BTK, acronimo di Bind, Torture, Kill) che insanguinò il paese, mietendo la vita di dieci persone, tutto a insaputa della moglie. La storia di Darcy (Joan Allen) e Bob (Anthony LaPaglia) è quindi molto simile a quella dei coniugi Rader. Poiché dopo 25 anni di felice matrimonio, Darcy, una casalinga appagata e serena, scopre per puro caso (e per di più a pochissime ore di distanza dal festeggiamento dell'anniversario di nozze), che suo marito Bob è uno stupratore e serial killer. Si tratta di una scoperta così raccapricciante che la sconvolgerà, tanto che la sua vita e la sua mente crolleranno. Dovrà perciò decidere se mantenere o meno il suo rapporto con lui. Prima di tutto il film non mi ha disgustato e sinceramente non sono rimasto così tanto deluso, però A Good Marriage non va oltre una diligente ma modesta (forse troppo) trasposizione di un non eccelso racconto di King. Per essere un thriller infatti manca del tutto l'obiettivo di tenere alta la suspense, complice uno script modesto e prevedibile.
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