Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/02/2019 Qui - Non ho mai amato l'orsacchiotto giallo, men che meno il suo amichetto umano, eppure è impensabile non conoscere Winnie the Pooh, dal 1961 nella famiglia Disney, mentre è più probabile non conoscere la vera storia dietro la storia. Una storia che questo film racconta. Vi presento Christopher Robin (Goodbye Christopher Robin), film del 2017 diretto da Simon Curtis, è, infatti, un film dedicato ad uno dei giovani protagonisti dell'universo disneyano: il bambino biondo e delicato che si accompagna, nelle sue avventure, all'orsetto più goloso di miele di tutti i tempi, Winnie the Pooh, suo fedele compagno di giochi e tenero amico d'infanzia. Se pensate, però, che la pellicola sia semplicemente un film per ragazzi, in cui trionfano le buone azioni e il valore dell'amicizia, vi sbagliate. Perché anch'io lo pensavo all'inizio (non conoscendo niente), salvo poi ricredermi di fronte ad una storia molto diversa, più terrena, più "cruda". Il film difatti, non racconta solo come è nato uno dei personaggi più iconici della seconda metà del XX secolo, Winnie the Pooh, insieme ai suoi compagni di avventure (Pimpi, Tigro, Ih-Oh) abitanti della Foresta dei Cento Acri, ma racconta soprattutto la vita di A.A. Milne, che ha combattuto durante la Prima guerra mondiale, tornandone con un disturbo post traumatico da stress, racconta la sua crisi una volta rientrato in società (perché abbiamo combattuto una guerra per porre fine a tutte le guerre ma non è cambiato nulla) e il suo blocco dello scrittore. Si addentra nel difficile rapporto tra l'autore, interpretato da Domhnall Gleeson, e sua moglie Daphne (Margot Robbie) e in quello, ancora più difficile, con il figlio Christopher Robin (Will Tilston). Billy Moon (in famiglia chiamato così), in fondo, era solo un ragazzino che voleva l'amore di suo padre e si è ritrovato, da persona, a diventare (quando egli decide di scrivere un libro per lui, che finisce per diventare un libro su di lui) un personaggio, artefatto e fittizio, depauperato di un mondo fantastico che inizialmente era solo suo. Christopher Milne (così, da adulto, fu chiamato dai suoi amici) non a caso non prese mai un centesimo dagli introiti prodotti dai libri su Winnie the Pooh. Questo perché anche se lui ha poi capito l'importanza del suo ruolo, mai poté dimenticare l'inaspettata sua popolarità, il suo essere suo malgrado una star mediatica, che lo mise parecchio in difficoltà, con un disagio sempre crescente, esasperato dalla notorietà e dalla lontananza dei genitori.