mercoledì 3 aprile 2019

American Pastoral (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/11/2017 Qui - Per il suo debutto alla regia l'attore scozzese Ewan McGregor sceglie con American Pastoral, film del 2016 diretto e interpretato da lui stesso, l'impegnativo compito di adattare un classico della letteratura del XX secolo, l'omonimo romanzo premio Pulitzer di Philip Roth, un'opera complessa e dalle grandi ambizioni (dicono i ben informati), che però questa realizzazione molto classica riesce a rendere solo in parte, ma anche meno. E' infatti un romanzo difficile da trasporre (mi sembra di capire) e difatti l'impresa non riesce, anche perché portare forse un autore complesso come Roth (che al cinema aveva già "regalato" Lezioni d'amoreLa macchia umana e Lamento di Portnoy), tanto più se sei alle prime armi con la macchina da presa, è stato un azzardo. Dato che il debutto alla regia del grande attore britannico, con molti successi alle spalle e una disposizione di fondo per copioni mediocri (ultimamente Mortdecai e Miles Ahead) che si è cimentato nell'impresa dimostrando certamente di padroneggiare i rudimenti della regia ma lasciandosi scappare di mano il tessuto del racconto, è poco riuscito. Egli realizza infatti un film deludente perché poco credibile dal punto di vista psicologico (non avendo letto il romanzo, mi auguro che lì i personaggi siano scritti meglio..), perché nel film appaiono più volte allusioni a possibili eventuali traumi/abusi infantili, che potrebbero spiegare l'insensatezza dei gesti della figlia, però non vengono mai esplicitati, lasciando lo spettatore solo molto perplesso. Mi ha lasciato davvero poco difatti questo film, che non mi ha fatto appassionare alle vicende dei personaggi e non mi ha trasmesso nulla.
Anche perché se anche il romanzo potrebbe certamente essere un capolavoro, questo film non trasmette niente di simile. Tanto che, anche i fedelissimi di Roth avranno pane per i loro denti per esercitarsi nell'esegesi del loro beniamino, che con Pastorale americana si aggiudicò il Pulitzer per la letteratura nel 1998. Saranno probabilmente meno contenti del fatto che ciò che esce dal film di Ewan McGregor è un'opera che sembra una caricatura tanto del tramonto del sogno americano, segnato dall'inasprirsi del conflitto generazionale, quanto di quell'importante stagione dei diritti civili durante la quale non mancarono azzardi e conflitti. Un'opera per di più sciatta, montata approssimativamente e con un pessimo lavoro condotto in fase di trucco e "parrucco" (anche se certe donne come Jennifer Connelly stanno benissimo anche senza...meravigliosa davvero). Comunque al di là dei paragoni con il romanzo (che come detto non ho letto ma da cui traspare un'aurea da gran romanzo), il film paga la mancanza di coraggio che trasforma American Pastoral in un piatto period drama, un affresco neanche emotivo dell'America della contestazione, della guerra del Vietnam e del Watergate.
In ogni caso a fronte di un testo di partenza complesso, il film si concentra sulla dimensione familiare dei Levov, inizialmente idilliaca, una fabbrica funzionante e dal volto umano (la maggior parte degli affezionati dipendenti sono afro-americani), una bella casa in campagna, due genitori affettuosi e una figlia bella il cui unico difetto è una leggera balbuzie (che pure la manda in crisi). Arriva il Sessantotto e arriva l'adolescenza della dolce Merry, e in un secondo la piccola (che pure aveva dato i segni di un affetto lievemente morboso nei confronti del padre) si trasforma nella teenager incubo di qualunque genitore. Nei suoi occhi imbevuti dell'ideologia del tempo (che passa agevolmente dal pacifismo al marxismo, al sostegno al potere nero, che suona lievemente comico sulla bocca di questa biondissima borghese) la figura paterna, a dispetto della sua morbidezza, si trasforma nel simbolo di un sistema marcio e degno di essere distrutto. La prospettiva, per una scelta più o meno consapevole, resta comunque quella dei genitori sconcertati e progressivamente distrutti dall'aggressività della figlia prima e dalla sua scomparsa poi.
Del resto né (Molly Parker) la psicologa progressista (che scambia A con Z) né le compagne di lotta di Merry (l'esuberante Valorie Curry, già vista nel pessimo Blair Witch) fanno una bella figura, ma sembrano figurine capaci solo di ripetere slogan anche contro la realtà dei fatti. Merry viene coinvolta nell'esplosione del locale ufficio postale (che fa morire l'ignaro e incolpevole impiegato), è l'inizio di una discesa agli inferi che distruggerà anche il rapporto tra i coniugi, che affrontano una sorta di "lutto bianco" in modi diametralmente opposti. Lo Svedese, animato dalla fede incrollabile nella possibilità di ritrovare la figlia, si ritrova ad affrontare ambigui rappresentanti di una contestazione che non capisce, sua moglie Dawn, tormentata dal senso di colpa e di inadeguatezza, precipita prima nella follia e poi in una testarda negazione. La storia quindi gira attorno all'impossibilità di un padre di accettare la diversità della figlia e delle sue scelte, chiedendosi in che cosa abbia sbagliato nella sua educazione. Non si arrenderà mai neanche di fronte all'evidenza, ma purtroppo nessuna di queste emozioni, di queste (strane) situazioni e imbarazzanti momenti, riescono a coinvolgere, emozionare o appassionare.
Anzi, poiché American Pastoral è girato tutto come un lungo flash back narrato dal fratello di Seymour Jerry, Levov (Rupert Evans), al suo vecchio compagno di scuola lo scrittore Nathan Zuckerman (David Strathairn), e poiché le ricostruzioni anni '60 (come se negli anni '60 chi cercava di fare la rivoluzione fossero solo attentatori dinamitardi o pazzi) sono un po' stereotipate e rese abbastanza male (segno evidente che né McGregor né il suo sceneggiatore li hanno vissuti) ne esce fuori (oltre ad un film ambiguo e di difficile collocazione) la figura della figlia un po' ridicola e una moglie insopportabile, dove però a sorpresa l'unico personaggio che emerge anche nella recitazione è incredibilmente il protagonista. L'attore scozzese, infatti e come già appurato, come regista inesperto ha una mano incerta, non osando mai alcun colpo e attenendosi al copione. Ben più efficace è la sua performance da protagonista, dove il suo dolore è sempre incanalato dentro un ostentato candore. Lo scontro generazionale tra il suo Svedese ingenuo, ancorato ai rassicuranti valori dell'America pre-Dallas, e la sua rabbiosa figlia, interpretata da una nervosa Dakota Fanning, il volto meno conciliante dell'Hollywood contemporanea, alla fine, è l'unico motore convincente, una piccola discendenza dall'opera di Roth.
Forse per il suo esordio, McGregor avrebbe dovuto difatti guardare a progetti più abbordabili, magari vicini alla propria sensibilità scozzese. Il tentativo, ammirevole e audace, di affrontare subito i giganti, infatti, ha avuto l'esito di schiacciarlo in un prodotto tristemente vuoto. Un prodotto dove, il compitino sembra fatto, con regia lineare e senza guizzi, attori in parte, ma il resto piuttosto distaccato (e insensato) dagli avvenimenti. Anche perché difficile accettare le scelte della figlia (che con spirito sovversivo ad arrivare al mutismo per non "fare male all'aria" ce ne vuole), così come apprezzare a pieni voti questo film. Inoltre a mio avviso proprio la ragazza "riappare" troppo tardi, bisognava forse e probabilmente ampliare l'ultima parte approfondendo il rapporto Padre/figlia tralasciando quello con la moglie e le sue scappatelle, e forse così anche il finale avrebbe assunto un'importanza maggiore. Io invece l'ho trovato freddo, un po' come tutto il film. Un film con un racconto fin troppo lineare, accurato a livello scenografico (solo in parte, ovvero la musica), ma privo di anima emotiva che si intravede giusto in un paio di sequenze. Tutto il film insomma rimane ingessato, dalla storia alla recitazione in un mare di buone intenzioni che rimangono tali, con altresì qualche personaggio un po' troppo schematizzato. In definitiva, un flop, dato che seppur c'è da premiare il coraggio per aver fatto questo tentativo, ce ne voleva altrettanto nella sua esecuzione, perché così com'è è un film anonimo e dimenticabile. Voto: 5